Quando immaginiamo i palombari dell’Artiglio, ce li vediamo a grandi profondità rovistare fra antichi relitti o passeggiare tra la fauna sottomarina alla ricerca di un tesoro da salvare. Eppure la vita a bordo della nave, sopra quel mare che scandagliavano come nessun altro, era altrettanto intensa e importante. Ognuno di loro aveva la propria personalità ed era proprio durante le traversate sopra l’acqua e non sotto, che si costruivano rapporti e amicizie. Gli stessi rapporti di fiducia e stima che una volta entrati nello scafandro e pronti a farsi calare a centinaia di metri sotto al mare, davano la forza per farcela.
La squadra sulla quale contava il commendatore Quaglia, proprietario dell’Artiglio e di altre navi da recupero, era quella di Alberto Gianni che alla fine era una vera e propria famiglia.
Il momento poi del pasto consumato insieme era quello che come in tutte le grandi famiglie si aspettava con ansia. Era intorno al tavolo che si rinsaldavano amicizie e ci si confidava sulla vita. C’era un cuoco di bordo che pensava a cucinare, tanto era importante per il commendator Quaglia prendersi cura dei suoi palombari. E le stoviglie dentro alle quali veniva servito il pasto non erano da meno: piatti e tazze della Richard Ginori personalizzati con il simbolo dell’Artiglio (si possono vedere al Museo della Marineria di Viareggio). Una vera sciccheria per chi era abituato ad indossare delle tute da marziani e farsi calare nelle profondità marine.
Tutti partecipavano al rifornimento della cambusa. Del resto il mare è una fonte inesauribile di cibo. Aristide Franceschi per esempio, uno dei capipalombari, si dilettava di notte a gettare delle lenze con degli ami fuori bordo, usando una lampada per illuminare il pelo dell’acqua e aspettando con un retino l’affiorare di poccoli pesci. Ma la festa vera c’era quando capitava di catturare un delfino. Con grembiulone e coltellaccio, il Franceschi si metteva a squartarlo, riducendo la carne in tante piccole striscioline da essicare al sole. I viareggini della Darsena lo conoscevano molto bene questo cibo, era il musciame. E molti di loro ne facevano dono alle famiglie quando tornavano dai lunghi viaggi, come una vera prelibatezza.
Anche se oggi può sembrare un po’ strano, ci piace ricordare i nostri eroi intorno al tavolo a mangiare musciame e a raccontarsi la vita.